Introspezione e condensazione linguistica sono i tratti distintivi dell’opera di Klaus Merz. Con questo autore argoviese viene premiata una voce piuttosto discreta, ma tanto più incisiva e autorevole, che ha trovato un’eco ben al di là dei confini svizzeri. Dalla sua prima raccolta di poesie Mit gesammelter Blindheit (1967) ha prodotto in oltre cinquant’anni un’opera molto variegata, sia in prosa (racconti, novelle, romanzi brevi e saggi) che in versi, oltre a pièce teatrali, radiodrammi e libri per l’infanzia. Una trentina di libri, già raccolti in un’edizione completa, che però continua a crescere, tendendo cautamente le antenne in direzioni sempre nuove: così penetra nei meccanismi interni di una ditta dell’Altopiano svizzero (firma, 2019) o segue le tracce di luce nella memoria (Noch Licht im Haus, 2023).
Il lavoro letterario di Klaus Merz si contraddistingue per il radicamento regionale e l’apertura cosmopolita. Nato e cresciuto nella parte argoviese della valle della Wyna, l’autore vi risiede tuttora. Eppure i suoi personaggi migrano a sciami: i suoi testi pullulano di emigrati, emarginati e ritornati, come per esempio il nonno del racconto L’argentino (2009), che torna nel proprio paese e si costruisce un «nuovo» mondo tutto suo come maestro elementare. La natura cosmopolita della sua opera si riflette anche nel gran numero di lingue in cui è stata tradotta: francese, italiano, inglese, spagnolo e addirittura russo e persiano.
Vedere: è il criterio che da diversi anni guida la ricerca letteraria di Klaus Merz. Si tratta di un movimento di percezione verso l’interno e verso l’esterno, e allo stesso tempo di un’attesa paziente, finché le immagini si imprimono da sole sulla retina, per fissarsi come ricordi. In questo senso la componente visiva è fortemente presente non solo nelle sue numerose poesie e nei saggi che trattano di arte figurativa o fotografia (Das Gedächtnis der Bilder, 2014), ma in tutti i suoi testi. Le poesie di Klaus Merz si sviluppano nel tempo, alcune necessitano di anni per venire alla luce, e ogni parola che non sia assolutamente necessaria scompare, in un processo di riduzione progressiva dove, alla fine, il fatto di non scrivere appare «come un atto di scrittura per eccellenza».
«I testi devono essere lasciati sedimentare»: sempre fedele a questo credo, Klaus Merz dà tempo al tempo, cosicché il vissuto possa depositarsi nella memoria per poi trasformarsi pian piano in letteratura. Alla fine resta soltanto l’essenza. Come nel suo capolavoro Jakob dorme (1997), che ha sancito la fama internazionale dello scrittore: la storia della famiglia protagonista è contraddistinta da malattia, decadimento e morte, ma è anche un inno alla vita e al legame tra gli esseri umani. Così, sebbene la malattia e la morte siano i leitmotiv della sua opera, questa è nel contempo intessuta di una brillante leggerezza e vibrante profondità, sempre volta a far emergere la «materia latente» che si nasconde sotto la superficie del quotidiano. Il programma poetico di Klaus Merz è condensato nella sua poesia Vie reali: «Contro corrente / i salmoni ritornano / ai loro luoghi / di riproduzione. // Nel flusso della lingua / la poesia costruisce / una scala / per la parola».